Le dark o ghost o virtual kitchen o cook room sono un fenomeno abbastanza recente che ha interessato le grandi città e, dopo un successo relativo di qualche anno fa a Milano, ha patito un lento ridimensionamento fino ad oggi. Sono cucine che fanno solo produzione dedicata alle consegne. all’asporto. ad un catering specifico ecc., non hanno sala né personale di servizio o cassa, o servizi igienici, tovagliato, stoviglie, insegne su strada, ecc., e permettono un abbattimento dei costi di gestione. Offrono la possibilità ai ristoratori di farsi conoscere in altri luoghi distanti da quello fisico, questo si conosciuto, e di poter vendere i propri piatti. Il concept pare adattarsi a pennello ai tempi odierni dominati dall’esplosione del food delivery, sia per le problematiche legate al coronavirus sia per un lento e graduale mutamento degli usi nelle nuove generazioni ed alla velocità sempre crescente del vivere moderno.
Sicuramente le abitudini sono molto cambiate già rispetto a 50 anni fa, ed è in atto una lenta ma inesorabile de-ritualizzazione del cibo perché la simbologia e la sua sacralità rituale scompaiono a favore di assenza di luoghi, regole e spazi comuni dedicati al consumo di cibo. Si mangia nei fast food, di corsa, in piedi, da soli, in auto. Ma si produce anche nelle ghost kitchen.
Ovviamente non è tutto oro quello che luccica. Anche in questo ambito ci sono aziende che hanno successo e continuano a crescere ed a progettare espansione (Foorban), ed altre che naturalmente chiudono (Rose e Mary). Se infatti è vero che i costi sono molto ridotti e l’efficienza è una delle caratteristiche fondamentali in questa attività, è anche vero che ci sono una serie di costi che se non controllati e gestiti possono rappresentare una criticità.
Il primo è sicuramente economico. Le piattaforme di consegna a domicilio per dare visibilità sulle proprie app chiedono commissioni tra il 20 ed il 30%, quindi un terzo delle vendite manca dagli incassi. Queste piattaforme di logistica e distributive diventano a pieno titolo dei partner in questa attività e dovendo pianificare nel breve-medio periodo è giusto considerare questi costi.
Poi c’è sicuramente un problema qualitativo. Non avendo la possibilità di un controllo pre-consegna e non gestendo la consegna stessa, l’ultimo miglio, non si ha certezza circa gli standard di produzione e di consegna di quanto ordinato dal cliente, ed è possibile che il ristoratore non conosca mai eventuali problematiche segnalate, ma che questi si fermino alla piattaforma.
C’è anche il problema del legame molto effimero tra cliente e ristoratore, senza rapporto “vis a vis” è più facile cambiare locale che dare una occhiata al menu o presentare una lamentela.
Poi c’è da gestire i picchi nelle ore critiche che, se male organizzati rallentano le consegne, abbassando la qualità del cibo e l’esperienza del cliente.
Un problema può essere rappresentato dalla gestione della sicurezza alimentare.
Infine, c’è da considerare il fatto che senza un posto fisico è sempre più difficile essere riconosciuti e crearsi una chiara identità, così come è impossibile ricreare i suoni, gli odori, i colori e tutte le sensazioni legate al consumo di un pasto al ristorante.
Il ristoratore, da canto suo, ha la possibilità di difendersi investendo molto sulla riconoscibilità del suo marchio mentre è presente nell’universo delle app, anche in previsione di uno scioglimento della partnership.
In ogni caso l’interesse c’è per una attività che, facendo solo cucina, riduce i canoni di locazione rispetto ad un ristorante tradizionale con sala. Abbassa il costo del personale eliminando quello dedicato alla cassa, al servizio e parzialmente al lavaggio. Quindi bassi costi di esercizio equivalgono ad un minor rischio di impresa anche considerando il carattere molto flessibile e modificabile della offerta. E l’interesse è provato anche dal fatto che Glovo, leader della logistica distributiva in Italia ha investito a Milano nella realizzazione di una cook room, la sesta a livello mondiale, capace di ospitare fino a sei diversi marchi che utilizzano le cucine in outsourcing per le consegne, anche per non interferire con le operazioni dei propri ristoranti.
Il futuro delle dark kitchen sarà molto più radioso se gli imprenditori riusciranno a fare squadra ed a specializzarsi nelle varie nicchie di mercato esempio office catering, consegne a bed and breakfast e strutture alberghiere senza cucina, consegne sui lidi ai clienti in spiaggia ecc. Un altro prodotto che potrebbe essere vincente è, come più volte ripetuto anche in altri contributi, un concetto ibrido. Cioè un locale che abbia una produzione, ma anche qualche tavolo per consumare, ma anche un posto fisico da ricordare, che faccia servizio dalla cucina, visti i numeri, che serva del take-away tipo gastronomia e faccia delle consegne. Una attività che possa beneficiare dei bassi costi di gestione, ma che sappia massimizzare la visibilità e le vendite attraverso tutti i canali disponibili, e che sfrutti, comunque, la joint venture con i colossi del food delivery, per pubblicizzare e diffondere il proprio marchio. Digitale e prenotazioni, freschezza e rapidi cambi di menu, consegne veloci ed in sicurezza rappresentano la differenza tra un top ed un flop, per questo il consiglio come sempre è di non improvvisare, ma di rivolgersi a professionisti.
Elaborare il menu, gestire le app, avere i giusti fornitori, studiare il packaging, stringere accordi commerciali per le consegne, saper controllare dal punto di vista della sicurezza alimentare l’intero processo sono cose da non improvvisare che se sottovalutate possono compromettere questo tipo di operazioni.
La cucina non è morta, e in ogni caso viva la cucina! www.gestioneecontrollo.com
