La qualità questa (s)conosciuta


Mi auguro che ciascuno di voi abbia avuto la possibilità di ritagliarsi del tempo per potersi riposare la passata estate e prepararsi al meglio per questo inverno pieno di incognite e di incertezze, ma anche preparatorio ad una stagione, la prossima, che speriamo essere di rilancio. La mia, di vacanza, mi ha dato lo spunto per questo contributo.

Sento molto parlare di qualità nella ristorazione. Sull’onda lunga degli chef pluri-stellati e delle trasmissioni culinarie italiche, tutti propongono, a detta loro, piatti di qualità, vogliono offrirla e se ne riempiono la bocca senza conoscerne veramente il significato. Chiunque abbia un minimo di conoscenza in merito sa che lo schema con il quale si ricerca la qualità si articola in quattro fasi: qualità attesa, programmata, realizzata e percepita. Quindi è una ricerca che parte dal cliente e si conclude con il cliente passando attraverso l’organizzazione (ristorante) che la programma e la realizza.

Ovviamente la qualità nella ristorazione coincide con l’esperienza che si vive durante tutto il tempo in cui si interagisce con l’offerta ristorativa: dal primo contatto, online o di persona, fino al pagamento del conto ed al post con la recensione del locale. In tutti i tipi di ristorazione dalla classica alla collettiva (moderna), alla commerciale. E non è certo, anzi non solo, quello che si mangia. Ma qui si parla di ingredienti, ricette, piatti.

Diciamolo subito, la qualità costa. In termini di materie prime e di realizzazione, infatti un cattivo chef ti può distruggere l’ingrediente più prezioso ed un ottimo chef può nobilitare un elemento povero con la sua maestria, ma la percezione della sua qualità sarà comunque limitata (uno spaghetto al pomodoro, benché preparato da C. Cracco, rimane pur sempre uno spaghetto al pomodoro). Quindi programmare e realizzare una offerta di qualità per un ristoratore parte dallo studio del menu con prodotti che rispondono ai requisiti attesi (qualità, reperibilità, prezzo ecc.) e procede con gli acquisti delle materie prime, propria conservazione e trattamento.

E qui sorge il primo problema per gli imprenditori nostrani (non tutti ma una buona maggioranza), il costo. Tutti vogliono fare le “nozze con i fichi secchi”. E’ così difficile da capire che il prodotto di nicchia, di produzione limitata o con ingredienti particolari debba costare di più del prodotto generalista? E che i risultati siano completamente diversi in termini qualitativi?

Aggiungendo altri argomenti alla discussione possiamo affermare che il prodotto stagionale ha, di partenza, una qualità maggiore, in quanto segue la vita naturale del prodotto e non è cresciuto in serra o in coltivazioni idroponiche , bensì ha assorbito nei tempi giusti i nutrienti dalla terra in cui è cresciuto. Perché dobbiamo mangiare pomodori tutto l’anno e le fragole d’inverno? Questa schizofrenia comportamentale ha fatto si che nazioni (Nord Europa) in cui si direbbero impossibili alcune coltivazioni siano diventate leader di mercato. Coltivazioni che non vedono il sole ed in alcuni casi la terra, che seguono logiche di massimizzazione, di produzione per mq2 e non certo i cicli ed i normali tempi naturali.

Altro elemento che condiziona la qualità è senza dubbio la vita che questo ingrediente/prodotto ha all’interno della nostra struttura, il modo in cui lo trattiamo. Ordinare, ricevere, stoccare, produrre e servire fanno parte di processi interni che influenzano la qualità finale del prodotto. Ovviamente questo monitoraggio e controllo necessita di risorse e quindi rappresenta dei costi, anche questi indigesti ed incompresi da parte di molti imprenditori.

Si faccia la qualità, ma quella vera. Viviamo nel Belpaese e possiamo farlo, di certo non ci mancano ingredienti e condimenti. La nostra biodiversità è la nostra forza: riscopriamo le tradizioni e le cucine regionali e dosiamo le esplorazioni gastronomiche, o meglio indirizziamole maggiormente al nostro territorio di appartenenza. Quanti sanno che in Italia si produce del whisky pluri-premiato? Quanti che produciamo caviale di alta qualità? Sapete che produciamo parmigiano e bresaola con disciplinari approvati Halal per la vendita nei paesi di religione mussulmana? Abbiamo il prosciutto di Parma o il San Daniele, ma produzioni di nicchia dal Veneto, alla Toscana, alla Sicilia.

L’italia è piena di prodotti e produzioni di eccellenza e qualità, quella vera. Riscopriamoli e manteniamoli vivi a scapito del salmone scozzese o del pak choi e della curcuma, contaminazioni certamente importanti, ma che devono miscelarsi ad una solida base locale. Inoltre abbiamo le professionalità, Chef conosciuti in tutto il mondo, professionisti che sanno ospitare, che sono i custodi di quella tradizione di servizio che va lentamente scomparendo e che ci hanno reso famosi nel mondo; che sanno di merceologia e che sanno gestire brigate complesse, ma ai quali troppo spesso vengono preferiti “Giovani neolaureati con esperienza e 3 lingue per 1.200 €/mese” che non possono e non devono avere la capacità di critica, la visione necessaria e la giusta conoscenza per il controllo e la gestione di determinate attività, specialmente complesse. Questa non è qualità, ma pressappochismo tutto italico.

Per quanto riguarda gli ingredienti, quando tutto questo diventa autoreferenziale l’imprenditore pensa di essere il più bravo e, con la tecnica in voga negli anni ’80 secondo la quale i prodotti da presentare al buffet non possano superare i 5 €/K, ti spaccia pesci improbabili verdesca, smeriglio, spinarolo, palombo, gattuccio, mako come di qualità o sostitutivi nelle ricette tipiche, nei carpacci, ma che quasi sempre, secondo ilfattoalimentare.it, nascondono carne di squalo, posizionando l’Italia al quarto posto nel mondo per consumo di questo alimento e leader in Europa. Oppure nelle selezioni di formaggi dove oramai si fatica a trovare prodotti italiani in un tripudio di emmental, fontina, gouda. Il parmigiano lascia la scena a grattugiati misti con carta d’identità dubbia e l’olio E.V.O. si ritira contro l’avanzata degli oli europei. Questa non è qualità, ma il suo contrario, la sua mortificazione.

Per questo è importante non rimanere nel proprio orticello, ma confrontarsi: non chiudersi ma accettare le critiche, avere il coraggio di conoscere e di esplorare. Confrontarsi con professionisti è sempre il consiglio migliore per avere un punto di visto diverso, alternativo, nuovo.

Certo che il professionista costa, ma anche la qualità. www.gestioneecontrollo.com

Pubblicato da Dario Pignatelli

Sono un professionista della ristorazione con vasta esperienza nella organizzazione, gestione e controllo di attività ristorative anche complesse, multi-outlet e multi site indirizzate a vari mercati quali: ristorazione classica, alberghiera, catering navale, aereo e a bordo treni, e eventi. Applico soluzioni complesse a problemi complicati e le più moderne tecniche per accrescere la redditività delle aziende ristorative, oltre a soluzioni già sperimentate in oltre 25 anni di esperienza.

Ciao, grazie del tuo commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: