In una società capitalistica globalizzata, non è questo il luogo dove esprimere un giudizio ma unicamente una constatazione, nella quale si preferisce produrre un bene in Cina in India o nel sud est asiatico anziché nell’est Europa, per poi ritrasportarlo indietro sui mercati domestici per motivi economici, si evidenzia la insostenibilità delle catene produttive-distributive, molto poco efficienti ed altamente inquinanti. Infatti le merci per la rapidità imposta dal deperimento dei prodotti alimentari usano vettori altamente inquinanti: navi, aerei e trasporto su gomma. Le piattaforme distributive sono energivore a causa delle enormi celle frigo e per la logistica impiegata. A questo scenario si aggiunga la altissima percentuale di prodotto finito che sprechiamo per scadenza, difetti estetici o errori nella preparazione o negli acquisti. Sono numeri impressionanti che impongono un cambio radicale o rivoluzionario.
Un atto rivoluzionario, per definizione, è quello che provoca un cambiamento radicale, una trasformazione in un qualsiasi campo dell’agire umano. Ovviamente esso diventa difficilmente attuabile senza la giusta consapevolezza.
Ma cosa può essere di più dirompente, più innovativo, cioè più rivoluzionario, al giorno d’oggi, che l’atto più comune e più apparentemente banale del nostro quotidiano: scegliere come fare la spesa? Decidere cosa mettere in tavola? Ci rendiamo conto delle emissioni di Co2 che potremmo risparmiare se, invece del limone centroamericano o nordafricano comodamente acquistato al supermercato a costi ridicoli, preferiamo con costanza attraverso tutta la nostra vita limoni autoctoni, che remunerano le attività locali? Moltiplicate il concetto per tutti gli ingredienti che consumiamo nell’arco della nostra esistenza ed avremo tonnellate e tonnellate di anidride carbonica in meno nella nostra atmosfera. Chi ha letto qualche altro mio contributo, saprà che alla definizione di cibo a KM 0, ho sempre preferito quella di filiera corta o sostenibile. Ma voglio anche accennare al discorso salutistico che sicuramente non è da meno, ma anche discorrere con voi del pieno recupero della nostra vera cucina regionale contadina (che rappresenta una piccola influenza, relativamente recente, nella cucina italiana). Ingredienti poveri, regionali e nutrizionali in modo giusto rappresentano un contributo che tutti possiamo dare. Temi quali il Bio, la filiera corta, la stagionalità dei prodotti, il rispetto delle rotazioni nelle colture, il recupero delle eccedenze, il “riciclo” sono aspetti che interessano tutti e che possono dare un contributo importante al pianeta. E non facciamoci prendere dalle multinazionali che cercano di intercettare queste nuove motivazioni etiche con prodotti mascherati e markettizzati, ma che non hanno nulla a che fare con quanto stiamo dibattendo. Se devo bere un caffè, un te, o una bibita gassata meglio un chinotto (o spuma) che una coca cola. Se voglio comprare una acqua aromatizzata posso averla della Danone o di produzione nazionale con un impatto profondamente diverso sul pianeta quale frutto della mia scelta.
Quindi scelte consapevoli all’acquisto (leggete di più le informazioni dovute per legge sulle etichette), in quantità consone ad evitare sprechi, preferire prodotti locali, bio o non manipolati massicciamente e che seguano la stagionalità può diventare, nella consapevolezza, un atto estremamente rivoluzionario a vantaggio individuale e collettivo. Pensateci la prossima volta che andate al supermercato o in un fast food.
Pensateci perchè la rivoluzione è alle porte e inizia da noi.